Museo Etnografico del ferro, delle arti e delle tradizioni popolari. Fucina Museo di Bienno
Posizione

La Fucina Museo, fondata nel 1988, costituisce, insieme al Mulino Museo, il primo e principale nucleo del Museo Etnografico del Ferro, delle Arti e Tradizioni Popolari di Bienno.
Il centro medievale di Bienno, nella media Valle Camonica, rappresenta infatti una preziosa testimonianza dell’antica lavorazione del ferro, per via della quale oggi ci si riferisce al paese definendolo Antico Borgo dei Magli.
L’intero territorio di Bienno è ricco di edifici che ospitavano fiorenti fucine ed è caratterizzato dal percorso del Vaso Re, il canale artificiale che un tempo forniva l’acqua a tutte le fucine del paese e che oggi scandisce il progredire di un particolare percorso attraverso il paese.
La Fucina Museo occupa due fucine originariamente appartenute alla Famiglia Morandini “Stefani”, poi passate alla Famiglia Panteghini e quindi cedute al Comune di Bienno nel 1985. Dall’analisi della struttura e della tipologia, l’origine di queste fucine può essere ricondotta al XVII secolo.
L’ultimo padèlé|r a gestire queste fucine fu Bortolo Mendeni, che trasformò la fucina da ‘cavatura’, per la produzione di padele, in ‘scartadura’ per la produzione di attrezzi agricoli.
Le fucine rimasero attive fino agli anni ’80 del secolo scorso.
La Fucina Museo è composta da due aree museali.
Lo spazio dedicato alla didattica è suddiviso in due piani da un soppalco: a piano terra troviamo pannelli, video ed attrezzi che permettono di ripercorrere la Via del ferro, dall’escavazione del minerale al prodotto finito; nell’area soppalcata sono ospitati alcuni reperti legati all’attività di estrazione del metallo, rinvenuti nelle miniere ad alta quota e negli antichi forni fusori.
Un secondo spazio presenta la fucina conservata nel suo aspetto originale, con il maglio, i maglioli, la cesoia, il forno, gli attrezzi per la lavorazione (per esempio pinze e tenaglie) e alcuni modelli di prodotti finiti (vanghe, badili, zappe, secchi ..).
La fucina nel suo complesso è un suggestivo locale alto ed annerito dal fumo, con pavimentazione in terra battuta, posto in una grande costruzione quadrangolare al cui esterno si trova una ruota messa in movimento dall’acqua che scorre dal Vaso Re, canale artificiale propulsivo che parte dal territorio di Prestine come derivazione del torrente Grigna, attraversa il tessuto urbano, integrandosi in esso con i suoi tratti sopraelevati ed interrati e la cui esistenza è documentata a partire dal XV secolo.
L’imponente maglio non è altro che un grosso martello composto da testa e manico, del peso di circa due tonnellate, che, una volta azionato, batte su un’incudine nel terreno, sopra materiale isolante (segatura e stracci). Esso funziona grazie alla potente energia dell’acqua, che si getta sulle pale della grossa ruota idraulica, a sua volta collegata all’erbor (albero di trasmissione), il quale, per mezzo di anelli di ferro chiamati gargiocc, agisce sul palmulì (pezzo di ferro montato sul manico del maglio), il quale provoca il movimento alternato del maglio stesso.
I maglioli (piccoli magli) servono invece alla rifinitura del prodotto, unitamente alla cesoia (grosse forbici per eliminare la lamiera in eccesso), e sono anch’essi azionati da una ruota idraulica, di dimensioni più piccole rispetto a quella del maglio principale.
Vicino al maglio è collocato l’altro elemento fondamentale della fucina, il forno, che serve a riscaldare i pezzi di ferro, i quali, una volta diventati malleabili, vengono battuti e lavorati.
Il fuoco viene continuamente alimentato da uno straordinario e complesso processo che si sviluppa nella Tina de l’ora (letteralmente, Contenitore dell’aria): lo sfruttamento della forza dell’acqua che, incanalata in un tubo di ferro, attraverso un salto di circa tre metri, viene fatta cadere contro un grosso masso di granito, all’interno di una minicamera interrata nel pavimento, vicino al canale di scarico, producendo in questo modo ossigeno, trasportato all’interno del forno attraverso un condotto metallico.
Poco lontano dalla Fucina Museo si trovano la Fucina Ludoteca, ospitata nell’ex Fucina Comensoli, che svolge la funzione di polo educativo per i ragazzi, e la Scuola di Forgiatura, presso l’ex Fucina Franzoni. Ad oggi, esiste una nota ed attiva associazione dei fabbri, l’Associazione Fréar dè Bién, e i magli sono ancora utilizzati dai fabbri biennesi per esemplari dimostrazioni in diretta di lavorazioni affascinanti ma ormai inesorabilmente dissolte nello scorrere veloce del tempo.
Il Mulino Museo, situato all’imbocco di Via Glere in una costruzione del 1400 e un tempo utilizzato per macinare il grano degli abitanti del paese, conserva ancora una struttura originale in tutte le sue parti: il complesso architettonico ha conservato le caratteristiche originarie sia all’interno che all’esterno.
Di proprietà della Famiglia Tampini, che abitava nel grande Palazzo che si affaccia sulla piazza soprastante, il Mulino venne venduto nel 1985 all’Amministrazione Comunale di Bienno. Esso conserva in ottime condizioni le macine per la molitura del granoturco, mentre quelle per la molitura del frumento e del grano saraceno non erano più attive ancora prima del passaggio di proprietà.
Il Mulino era già attivo nel XV secolo ma venne per buona parte distrutto durante l’alluvione del 1634; dopo la sistemazione seicentesca è arrivato pressoché intatto fino ad oggi; è gestito da quattro generazioni dalla famiglia Denage.
Il Mulino Museo, insieme alla Fucina Museo, costituisce il nucleo originario del Museo Etnografico del Ferro, delle Arti e Tradizioni Popolari di Bienno.
Il Mulino Museo raccoglie in particolare ai beni e alle attività agro-silvo-pastorali, legate all’allevamento del bestiame, alla lavorazione latte, alla fienagione, alla cerealicoltura, alla lavorazione dei campi, al trasporto, alla viticoltura, alla frutticoltura, all’orticoltura, alla silvicoltura, all’apicoltura, alla lavorazione della lana, alla tessitura, alle suppellettili e all’arredo, agli abiti e all’economia familiare, alla religiosità popolare.
Il Mulino Museosi sviluppa su tre piani. Il piano terra è occupato dai macchinari mentre nei due piani superiori è stata conservata la dimora del mugnaio, rimasta intatta nella sua disposizione originaria e ancora visitabile. Al piano primo sono stati inseriti alcuni pannelli esplicativi e alcune semplici strutture per la realizzazione dei laboratori.
Nello spazio esterno antistante, si possono osservare la grande ruota idraulica e il lungo canale aereo che porta l’acqua del Vaso Re, ben visibile a terra con il suo canale in pietra.
Il Mulino funziona secondo lo stesso principio che aziona il maglio: le macine lavorano infatti grazie alla forza motrice dell’acqua che proviene dal canale del Vaso Re. L’acqua si incanala nella gora e cadendo sulle pale della ruota idraulica la fa girare. La ruota è collegata all’erbor, il quale a sua volta aziona all’interno del Mulino una ruota con denti di legno che si inseriscono in un gioco di ingranaggi in ferro collegati alla macina.
Le macine in granito del mulino sono due, una superiore ed una inferiore. La macina superiore è quella in continuo movimento ed è forata sulla superficie per permettere al granturco di passare e frantumarsi (il grano a sua volta è contenuto nelle tramogge e, cadendo pian piano nelle macine, permette di ottenere farina gialla). Accanto vi è invece la macina che produce farina bianca. Le macine sono contenute in un cilindro in legno di tiglio, usato per l’elasticità che mantiene pur essendo a contatto continuo con l’acqua.
I chicchi da macinare vengono frantumati per effetto del movimento rotatorio della macina superiore, mentre quella inferiore resta fissa e presenta delle scanalature a raggiera, dalle quali passa il cereale ridotto in polvere. Il macinato entra così in un piccolo condotto in legno e giunge all’interno di un setaccio cilindrico (buratto). Il buratto è percorso da pioli (bataröi), che favoriscono la caduta della farina nel contenitore di legno, ed è dotato di due diversi tipi di rete che permettono di dividere la farina setacciata in due grane.
[fotografia: Luca Giarelli]